Il razzismo, esiste o no nel mondo del Cosplay: parliamone

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L’articolo della giornalista statunitense, Carol Ozemhoya, rilasciato presso la rivista a stelle e strisce “Cosplay Fanatic”, mi aiuta a pensare e dibattere, conseguentemente, su un tema che preme a molti e che a tanti desta sconcerto… Il razzismo nel mondo del Cosplay.

Partiamo da una base certa, nel mondo il razzismo (almeno da quel che sappiamo) non può estinguersi, in quanto si basa su dei preconcetti, ovvero delle posizioni affrettate e quasi sempre incompatibili con qualsivoglia analisi oggettiva correlata all’argomento.

Sarà solo un mio parere, sarà pure un parere opinabile e non condiviso da neanche un mio lettore, eppure credo che fino a quando esisterà l’uomo esisterà anche il razzismo. Dico questo perché fino a quando esisterà l’uomo esisteranno un agglomerato di comunità o gruppi di esseri viventi evoluti che stenteranno a condividere tra loro questo pianeta.

Sono anche dell’idea, però, che questa non deve essere una scusante per non combatterlo. La costante evoluzione della scienza nel mondo è un buon apporto per arginare i fenomeni dilaganti e i problemi contemporanei legati al razzismo, in quanto quasi tutti questi spiacevoli eventi si generano sotto una base che non ha alcun supporto scientifico. Tuttavia, credo che il grosso lo facciano le famiglie, le associazioni, le palestre e anche il mondo del Cosplay, insomma, luoghi dove le persone vengono iniziate – un po’ come se fosse un rituale arcarico – al rispetto delle regole comuni.

Nel suo testo Ozemhoya – nel suo testo avvenuto nel settembre dell’anno scorso – ci andò giù duro sugli eventi di razzismo che si scatenarono in Giappone quando Miss. Japan, Ariana Miyamoto, fu attaccata dagli haters perché suo padre è nero e, conseguentemente, a detta di costoro non è una “vera giapponese”.

Quando Ariana fu incoronata nel 2015 Miss Japan, divenne la prima donna multirazziale ad ottenere quel titolo e diversi servizi, realizzati da tg itineranti e disponibili nei vari canali web, analizzarono a fondo la questione e constatando che i giapponesi non avevano affatto interiorizzato questo grande cambiamento.

La giornalista di Cosplay Fanatic alzò la palla, affermando che nel Cosplay non può esistere il razzismo, eppure debbo dire con grande tristezza che si sbaglia. Probabilmente non esiste un razzismo correlato al colore della pelle o le caratteristiche etniche dei singoli cosplayers, ma questa piaga si estende a macchia d’olio su una moltitudine di punti che non sono neanche quantificabili.

Il mio precedente editoriale (legato agli stereotipi nel mondo del Cosplay) elenca solo una piccola parte dei germi che annidandosi e costruendo la loro rete, generano discriminazioni. Basti pensare a quanti leoni da tastiera hanno dato della “prostituta” ragazze cosplayers italiane e straniere solo perché hanno deciso di percorrere un percorso espositivo che le portava a svelare punti più intimi del loro fisico. Anche quella è una chiara e palese forma di violenza, come lo è quando un ragazzo cosplayer decide di utilizzare un materiale alternativo e viene insultato in una community.

Adesso alcuni diranno: “ma questo però non è razzismo”, non è così. Chi è abituato a discriminare il prossimo in base all’eccentricità, al sesso, alle scelte estetiche o persino ai gusti, sarà inevitabilmente portato a esercitare lo stesso irrazionale scema anche verso: gruppi sociali, classi sociali, orientamento, nazionalità sessuale e in fine su questo termine altamente generico “razza”.

Un evento più generico causò una grossa disputa su questa tematica, mi riferisco principalmente al presunto episodio di blackfacing denunciato da Kamui Cosplay durante una gara Cosplay in cui esercitava il ruolo di giudice. Vi è una grande sensibilizzazione sull’argomento e il mondo del Cosplay è in grado di tener fuori o mettere i riflettori sui razzisti, ma è evidente che un problema con discendenze antiche molto forti al momento può essere solo combattuto.

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