Industria creativa, cosa stiamo distruggendo

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L’industria creativa è un vettore economico importante in Italia, cosa stiamo perdendo durante il COVID? E quanto ci costa la discriminazione?

Quello che fa proprio fumare il cervello ai tanti, è questa scarsa propensione culturale ad accettare l’industria creativa come pilastro inamovibile della vita quotidiana dei popoli appartenenti al mondo occidentale.

Oltrepassata quella soglia dove nerd era sinonimo di emarginato sociale, abbiamo visto molte realtà assemblarsi al settore dell’industria creativa, fino a divenire parte integrante di esso. E, logicamente, tra le tante attività, quella del Cosplay rappresenta il cosiddetto “motore della macchina” l’area marketing che serve a valorizzare i progetti di gaming, gdr e tanti altri vettori economici molto rilevanti: tra questi il border-gaming e artistico nel senso più vista (dalle fan art al bodypainting).

Per quanto concerne l’apporto economico che  l’industria creativa ha apportato al PIL l’anno scorso, si è pronunciato il sito di Unionecamere e Fondazione Symbola dove il 

Quando si pensano a queste cifre, non possiamo fare a meno di osservare l’ottusità e la superbia di certe fasce sociali che consentono ad alcune autorità di non valorizzare sufficientemente questi settori, condannando realtà come il Cosplay ad un bisogno terziario… Insomma, non indispensabile per il sistema produttivo Nazionale.

Queste valutazioni sono un errore – ma che dico, orrore – madornale che ci stiamo portando anche in piena era-COVID, dove i palcoscenici fieristici sono stati costretti a dare forfait e alcuni governatori di Regione hanno mostrato anche un certo disprezzo verso le ricorrenze che offrono a settori come il mondo del Cosplay di attivarsi e, conseguentemente, animare le comunità.

Con tale articolo non ho l’intento di screditare questa o quella classe dirigenziale, non mi sembra né il luogo, né il frangente opportuno per estendere un pour parler dedicato alla politica italiana, desidero, per tanto, soltanto concentrarmi sulla discriminazione che molti hanno verso il mondo del Cosplay e l’industria creativa che è largamente generalizzata tra chi non “bazzica in questi lidi”.

Per tanto, concentriamoci su quello che – a mio parere – è la roccia solida di questo asse produttivo del Paese: il Veneto e la Lombardia: le due regioni hanno costruito una comunità Cosplay estremamente viva e organizzata, entrano facilmente in contatto con i media e favoriscono l’ingresso ai loro gruppi di cosplayers appartenenti ad altre regioni italiane, favorendo così una crescita esponenziale delle loro iniziative, sia fieristiche, sia telematiche.

Quindi, procediamo dicendo che solo nel 2018 il Veneto produceva un introito annuale pari a 7.838,3 di euro e la Lombardia – autentico esempio nazionale – raggiungeva la cifra astronomica di 25.371,6 di euro… Insomma, numeri da capogiro che ci invidiavano in tutto il mondo. Ad oggi, in piena era-COVID, bisogna solo leccarsi le ferite e vedere a quanto ammonta il danno, ma siamo consapevoli che questo disastro poteva subire un ridimensionamento se realtà come il Cosplay fossero più apprezzate da alcuni.

L’anno successivo l’incremento dei grandi hub culturali localizzati nelle aree metropolitane di Milano e Roma si era stimato attorno al 96% e questo significava tanti piccoli “stipendiucci” per tante piccole imprese e tanti artigiani Cosplay, persone che in altre grandi città metropolitane, si sono sentiti dire aberrazioni del tipo: “basta con queste americanate“.

Per tanto, seguendo le prassi di molte aziende di e-commerce online, è giusto lanciare l’allarme, l’Italia vive anche di queste attività: Venezia sta sprofondando, Milano sta collassando e Napoli sta con l’acqua alla gola a causa del COVID, non è mai troppo tardi per dare al Cosplay e ad altri settori (nerd, otaku, bodypainting ecc. ecc.) il rispetto che meritano, facendoli così entrare, nel più breve tempo possibile, in un piano economico serio.

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